Euthanasia Coaster: le montagne russe della morte tra scienza, etica e fantascienza

Euthanasia Coaster: le montagne russe della morte tra scienza, etica e fantascienza

Avete mai pensato di unire il brivido di un’attrazione da parco divertimenti con il concetto estremo della morte dolce? No, non è la trama di un episodio particolarmente inquietante di Black Mirror, ma il cuore pulsante — o forse sarebbe meglio dire morente — di uno dei progetti più affascinanti, disturbanti e filosoficamente provocatori mai concepiti nel mondo dell’ingegneria concettuale: l’Euthanasia Coaster, soprannominata senza mezzi termini le montagne russe della morte.

Nata nel 2010 dalla mente visionaria e decisamente fuori dagli schemi dell’ingegnere e artista lituano Julijonas Urbonas, questa giostra non è mai stata costruita. Eppure, il suo impatto culturale e la potenza delle sue implicazioni etiche e scientifiche continuano a far parlare di sé a distanza di anni. L’Euthanasia Coaster è un’attrazione progettata per essere l’ultima esperienza della vita. Letteralmente. Un viaggio vertiginoso e letale che promette di trasformare l’eutanasia in un’estetica esperienza finale, al confine tra arte, ingegneria e provocazione sociale.

Ma come funziona, in teoria, questa giostra fatale? Immaginate di salire su un carrello che vi porta a 510 metri d’altezza — sì, più in alto della Tokyo Skytree. Due minuti di salita lenta, carica di tensione e riflessione, prima di una discesa fulminea a 360 km orari lungo una pendenza di 500 metri. E fin qui, sembra l’incipit di una classica attrazione da adrenalina estrema. Ma è dopo la discesa che inizia la vera “magia”: sette spirali concentriche, le cosiddette inversioni clotoidi, progettate in modo da sottoporre il corpo umano a un’accelerazione costante di 10 G per un minuto intero. Il risultato? Un’ipossia cerebrale inesorabile. Il cervello, privato dell’ossigeno, soccombe lentamente ma con eleganza. L’obiettivo è la perdita di coscienza progressiva, seguita da una morte garantita anche per i fisici più resistenti.

Urbonas descriveva questa corsa letale come un’esperienza “euforica e elegante”, ispirata da un’affermazione controversa di John Allen, ex presidente della Philadelphia Toboggan Company, il quale sognava una giostra capace di “caricare 24 persone e riportarle indietro morte”. Quella che potrebbe sembrare una battuta macabra in un vecchio bar di ingegneri annoiati è diventata, nella mente di Urbonas, un concept per interrogarsi sul senso della vita, della morte e del divertimento.

Non sorprende che il progetto, pur mai realizzato, abbia suscitato un certo scalpore quando venne presentato nel 2011 alla mostra HUMAN+ presso la Science Gallery di Dublino. L’obiettivo dell’esposizione era mostrare il futuro dell’umanità e le possibili deviazioni della tecnologia. L’Euthanasia Coaster si inserisce perfettamente in questo quadro, sollevando questioni profonde sulla longevità, sul diritto a morire, ma anche sul confine sempre più labile tra spettacolo e etica.

Il dibattito non si è fatto attendere. Da una parte, alcuni visionari hanno intravisto nel progetto un modo “artistico” e forse più dignitoso per affrontare l’eutanasia. Dall’altra, associazioni come Care Not Killing hanno condannato l’idea, definendola pericolosamente fuorviante e incompatibile con qualsiasi approccio umano e compassionevole alla fine della vita.

Nonostante il suo status di concept irrealizzato, l’Euthanasia Coaster è entrata nell’immaginario collettivo nerd e fantascientifico. La sua influenza si è estesa alla cultura pop in modi inaspettati. Nel 2013, il gruppo rock norvegese Major Parkinson ha pubblicato un brano intitolato proprio Euthanasia Roller Coaster, mentre nel 2015 il regista Glenn Paton ha girato il corto H Positive, in cui un uomo ricco scopre di stare per morire e commissiona la costruzione di una giostra identica a quella di Urbonas. Nei titoli di coda, l’omaggio al progetto è dichiarato apertamente.

Anche la letteratura ha abbracciato l’idea. L’Euthanasia Coaster viene citata nel romanzo Raccontami di un giorno perfetto di Jennifer Niven — da cui è stato tratto anche un film Netflix — e compare nel racconto di fantascienza Vladimir Chong Chooses to Die di Lavie Tidhar, in cui un anziano decide di porre fine alla sua vita salendo su questa giostra letale.

Ma al di là del fascino oscuro e dell’hype da museo post-umano, l’Euthanasia Coaster ci costringe a porci domande difficili. È etico trasformare la morte in intrattenimento? È giusto concepire un’architettura finalizzata alla cessazione della vita? È arte? È provocazione? O è solo la rappresentazione cruda e senza filtri di un’umanità che, nel suo rincorrere la longevità, ha finito per dimenticare il valore del come morire?

A distanza di oltre un decennio, il progetto dell’Euthanasia Coaster resta un monolite inquietante nel panorama della speculative design. Non solo una montagna russa, ma una vera e propria montagna filosofica, dove ogni curva, ogni spirale, ogni G di accelerazione è un invito a riflettere su quel misterioso tratto finale che tutti, prima o poi, dobbiamo affrontare.

E voi, cosa ne pensate? L’Euthanasia Coaster vi inquieta o vi affascina? Pensate che un progetto simile possa avere un ruolo nella società futura, magari come strumento per riflettere sul diritto alla morte? Parlatene con i vostri amici, condividete questo articolo e fateci sapere la vostra opinione sui social: l’ultima corsa potrebbe iniziare proprio da qui.

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